Meno lobbies e più democrazia – Intervista a Michele Ainis
Copio e incollo dalla fonte:
Michele Ainis, costituzionalista, insegna all’università di Roma3. Scrive sul Corriere della Sera e su l’Espresso. Ha pubblicato una
ventina di saggi su temi politici e istituzionali
Da TERA e AQUA n. 71 FEBBRAIO – MARZO 2013 – Bisemestrale dell’Ecoistituto del Veneto Alex Langer, intervista di Giorgio Calderoni daUna Città
D.: Dai dati del libro Privilegium (Rizzoli pag. 177, eu 17,00),
emerge un paese quasi feudale, dove non c’è solo la casta dei politici, ma
ciascuno difende i suoi piccoli o grandi privilegi di casta, di lobby, di corporazione.
R.: La regola non esiste più: sommersa, annegata, soffocata da 63.194 deroghe. In origine accadde per motivi nobili, o almeno
ragionevoli. Dopo l’Unità d’Italia c’era l’esigenza di differenziare la legislazione perchè erano profondamente differenti i livelli di sviluppo delle varie aree del
Paese. Ma oggi la musica è ben altra: sono le corporazioni a pretendere e a ottenere leggine di favore. Sicchè in ultimo ogni categoria indossa un vestito normativo diverso da
quello cucito sulle spalle della categoria gemella. Non c’è più un unico sarto, la legge generale è ormai un ricordo. Il nostro diritto è diventato capriccioso e instabile,
alluvionato da regolette minute e di dettaglio. Fatte apposta per tenere la società bloccata. Impedire il ricambio. Escludere i giovani.
D.: Nel denunciare l’esistenza di tante piccole caste e privilegi, lei chiama in corrietà l’intera società civile. Come se ne esce?
R.: Non bastano dei ritocchi. Non resta che la rivoluzione. Pacifica, ordinata; ma senza dispense nè indulgenze, senza salvacondotti
per i vecchi vassalli e valvassori. A partire, si capisce, dal Parlamento.
Primo: va segato il ramo su cui stanno inchiodati i professionisti del potere: due mandati e via con il vento.
Secondo: va rafforzato il referendum abrogativo, attraverso l’abolizione del quorum.
Terzo: va introdotto l’istituto del recall per revocare anzitempo gli eletti immeritevoli, come accade in
California ma anche in diciotto stati dell’Unione e in Canada, Giappone, Svizzera e vari paesi latino-americani.
Quarto: serve una sede di rappresentanza degli esclusi – i giovani, le donne, i disoccupati, ma in fondo siamo tutti esclusi da questo Parlamento. Tale
sede può ben essere il Senato, trasformandolo però in una “Camera dei cittadini” designata per sorteggio, in modo da riflettere il profilo
socio-demografico del Paese. Un’isea bislacca? Mica tanto. Era affidato anche ai sorteggi, come formula per arginare prepotenze e pressioni, la stessa elezione
del Maggior Consiglio della Repubblica di Venezia. EAristotele diceva che l’elezione è tipica delle aristocrazie, il sorteggio
delle democrazie.
Le vie d’uscita sono delle riforme visionarie che molto difficilmente verranno realizzate. D’altra parte, questa è una fase in cui abbiamo bisogno
di riforme radicali: anzichè baloccarsi (lo facciamo da trent’anni) sulla riforma del bicameralismo (di cui, per carità, c’è bisogno), c’è un’urgenza più
pressante a disinnescare i conflitti di interesse e a realizzare un’eguaglianza anche nella società politica, ricorrendo anche al sorteggio. Lo
diceva già Montesquieu: il sorteggio “serve” l’idea dell’uguaglianza, è strumento dell’eguaglianza. Con il sorteggio siamo tutti
uguali. Una delle proposte che avanzo è la Camera dei cittadini, non legislativa, ma propulsiva e di controllo sulle scelte legislative.
D.: Come rimedi, lei indica democrazia partecipativa, referendum senza
quorum, la riforma delle camere. Inoltre propone l’introduzione
del recall, la revoca dell’eletto immeritevole. Può spiegare meglio?
R.: Funziona in varie parti del mondo in modo diverso; il recall è uno strumento didemocrazia diretta che rende più autorevole la
democrazia rappresentativa, dei consiglieri regionali, dei parlamentari: chi esercita un ruolo di potere deve renderne conto. La
democrazia è un rendiconto sull’esercizio del potere.
Il recall mi consente di revocarti se io che ti ho eletto ritengo che tu sia – o sia diventato- immeritevole rispetto a quella carica; con alcune
condizioni: funziona per i parlamentari eletti in collegi uninominali, per i sindaci, per i presidenti di regione. Negli Stati Uniti lo applicano anche ai giudici perchè sono
elettivi, ai direttori delle scuole, ecc.
Non può essere consentito già all’indomani delle elezioni, altrimenti diverrebbe una nevrosi: bisogna stabilire un lasso di temporale, es. un anno, prima di poter utilizzare
questo strumento. Inoltre, lo si può utlizzare o per una serie chiusa di cause, oppure per una serie libera. La richiesta deve provenire da una frazione significativa del
corpo elettorale, per renderlo uno strumento serio.
D.: Circa l’eccesso di deroghe ed eccezioni alla regola, lei avanza la proposta che le leggi contenenti deroghe alla legge generale siano espressamente
motivate. Può raccontare?
R.: Nel nostro ordinamento le leggi non devono essere motivate; in alcuni casi invece, come quando si tratta di introdurre una deroga, la motivazione è doverosa. Perchè? Il
tiranno è colui che si può sottrarre alla regola senza doversi giustificare. Se tu ti sottrai alla regola ti devi giustificare, per principio di trasparenza: quantomeno
mettici la faccia, dimmi perchè stai favorendo la lobby degli avvocati o dei petrolieri. Faccio una proposta ulteriore, più forte: quanto tu Parlamento-legislatore introduci una deroga, serve una maggioranza assoluta. Si tratta di rendere più difficile
l’approvazione di deroghe, in questo caso servirebbe la metà più uno dei componenti l’assemblea. Esistono già delle tipologie in cui le maggioranze sono più alte: per
l’amnistia e l’indulto ci vogliono i due terzi.
“La legge è uguale per tutti” è diventata una formula che sta scritta nei tribunali, se ci sono 63.194 norme di deroga, in
realtà “la legge è disuguale per tutti”, allora occorre rendere più difficile il lavoro sporco.
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Un articolo stampa di Michele Ainis |
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Il Movimento 5 Stelle e la richiesta di "democrazia diretta" Posted: 12 Mar 2013 03:29 AM PDT
Abbiamo notato come tra i lettori il questo giornale, molti siano i sostenitori del
Movimento 5 stelle, e come costoro vantino l’esercizio della democrazia diretta. Non ci soffermeremo sul fatto che non esiste la democrazia diretta,
rappresentativa, partecipativa, liquida ed altre amenità propinate da politicanti senza scrupoli. Esiste la democrazia e basta. Il termine deriva dal greco δῆμος (démos):
popolo e κράτος (cràtos): potere, ed etimologicamente significa governo del popolo. Il concetto di democrazia non è cristallizzato in una sola versione o in un’unica concreta
traduzione, ma può trovare ed ha trovato la sua espressione storica in diverse espressioni ed applicazioni, tutte caratterizzate per altro dalla ricerca di una modalità capace
di dare al popolo la potestà effettiva di governare.
Persone, gruppi e movimenti che lavorano per l’esercizio effettivo della
democrazia (per semplicità accettiamo il termine: democrazia diretta) ce ne sono attualmente più d’uno. Giusto poco più di vent’anni fa si riunivano in quel di
Fabbrico (RE), presso un agriturismo, numerosi federalisti che individuando il corretto esercizio negli strumenti di partecipazione popolare previsti dalla Legge 142/1990, e
cominciarono ad operare nei Comuni e nelle Province. Qualche anno dopo vide la luce, ad imitazione della omonima organizzazione tedesca, la Initiative für mehr
Demokratie di Bolzano. Più recentemente s’è formato un gruppo
in Facebook che si propone l’abolizione del quorum dai referendem, ed ha depositato in Parlamento un’apposita proposta il legge d’iniziativa popolare. E sempre più
spesso gruppi spontanei di cittadini si attivano per la modifica degli Statuti dei propri Comuni e Province, affinchè questi contemplino il corretto esercizio della democrazia
diretta o sovranità popolare come noi preferiamo definirla.
Che ci siano ora lettori e sostenitori del m5s che menano primogeniture in tal senso è
quanto meno difforme dalla realtà. Segnaliamo piuttosto che al Congresso che il m5s tenne a Firenze nel 2009, fu impedito ad un
relatore designato tramite apposite votazioni in Internet, di parlare in questo senso, per cui si approfittò dell’ultimo intervento fatto da un italiano che vive e lavora a Le
Locle in Svizzera (Leo Zaquini di Officina Democratica) per divulgare “il verbo”. Chi stava, dietro le quinte, alla regia audio stava per spegnere il microfono
anzitempo, ma Beppe Grillo ch’era lì vicino fermò l’operatore affermando che l’oratore stava dicendo cose interessanti, e finito l’intervento dello Zaquini, Beppe Grillo uscì
sul palco per abbracciarlo e complimentarsi con lui. L’8 marzo, dicevamo, si tiene a Firenze il Primo Incontro Nazionale delle Liste Civiche a Cinque Stelle. Qui Beppe Grillo
presenta la Carta di Firenze, ossatura comune in 12 punti del programma locale delle varie liste civiche; in essa non compare nessuna questione relativa al corretto utilizzo
degli strumenti di democrazia diretta che già esistono e sono stati edulcorati e depotenziati dalla partitocrazia.
Il frattempo il m5s conquista alcuni Comuni: Sarego (VI), Mira (VE), Parma ed
altri; ma, a tutt’oggi, a nostra conoscenza, in nessuno di tali Enti locali lo Statuto è stato modificato in senso autenticamente (diretto) democratico. Eppure,
numerosi sono stati i partecipanti alle riunioni di Fabbrico (RE) di cui sopra si è detto, che hanno mandato documenti e sollecitazioni a questi Sindaci.
Nello specifico costoro invitivano il Sindaco ed il suo Consiglio comunale, a
realizzare le seguenti modifiche allo Statuto, in armonia con la Carta europea delle autonomie locali, la legge 8 giugno 1990, n. 142, denominata «Ordinamento delle autonomie
locali», la Legge 3 agosto 1999, n. 265, denominata «Più autonomia per gli enti locali», ed il successivo Decreto legislativo 267-2000 «Testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali»: Referendum «d’iniziativa» e «di revisione»
il regolamento determina i criteri di formulazione del quesito, e per lo svolgimento delle
operazioni di voto. In caso di dubbi sull’ammissibilità del quesito referendario, è fatto ricorso al Procuratore civico che assumerà l’onere
della congruità e sull’univocità del quesito.
L’esercizio della sovranità popolare è questione molto
antica. Giovanni Althusius intorno al 1604 si
allontana radicalmente dall’opinione dominante, rappresentata soprattutto da Jean Bodin (il primo teorico sul concetto di Sovranità). Egli infatti, seguito da pochi
simpatizzanti, attribuisce i diritti di sovranità non al principe bensì interamente al popolo. I diritti sovrani appartengono necessariamente ed esclusivamente al corpo
sociale («corpus symbioticum»); sono il suo spirito, la sua anima, il suo respiro vitale; solo possedendoli esso vive, e perdendoli viene meno oppure diventa indegno del nome
di «res publica». Chi li amministra è naturalmente un altissimo magistrato, ma la proprietà e l’usufrutto di essi sono inseparabili dal popolo nel suo complesso (dal «populus
universus»), dalla «consociatio universalis», dal «regnum ipsum». Anzi essi gli sono a tal punto propri, che il popolo non può rinunciarvi ed alienarli e trasmetterli ad altri
quand’anche lo voglia, cosi come nessuno può spartire con un altro la vita che gli appartiene. E il popolo, mentre è la sola fonte concepibile
della sovranità, ne è per la stessa ragione il solo soggetto concepibile e stabile, e con la sua immortalità la custodisce e la protegge. Anche l’esercizio di essa viene
ripreso dal popolo e conferito exnovo, non appena colui che vi era preposto cessa dalla carica o decade dal proprio diritto. E poiché
per la loro stessa natura questi diritti sono esclusi da qualsiasi commercio e proprietà da parte del singolo, il principe (oggi diremmo: i partiti politici), accaparrandosene
la proprietà, cessa eo ipso di essere sovrano e diviene un privato e un tiranno.
L’Althusius prosegue affermando che: tra le comunità particolari considera in primo luogo l’associazione locale
(«universitas» in senso stretto). Tratta in seguito della connessione e della struttura dei comuni, del concetto, dell’acquisto e delle specie dei diritti di cittadinanza e
della ripartizione dei cittadini in governanti e governati (c. 5, §§ 8-27). E dichiara sin dal principio elettiva e in qualsiasi momento revocabile ogni carica
nel comune, sia essa singola o collegiale, in quanto essa consiste nell’amministrazione del diritto della collettività e come tale non
conferisce mai un diritto sopra questa ma soltanto sopra i singoli («jus in singulos», non «in universos cives»), e perciò, se comporta un giuramento di fedeltà da parte dei
cittadini, ne impone pure uno verso l’intera cittadinanza.
In tal senso giunge opportuno l’articolo 70 del Decreto legislativo 267/2000 che prevede la revoca, proponibile
anche da singoli cittadini, del Sindaco e dei Consiglieri comunali, nonché gli omologhi provinciali. Ma di tutto questo il m5s non parla, o ne parla
poco e male. Molti sostenitori il Beppe Grillo e Gianroberto casaleggio pensano e credono che la democrazia diretta si estrinsechi con azioni in Internet; ma non è
propriamente così.
Quasi tutti, poi, tendono a non valutare correttamente l’essenza degli strumenti per
l’esercizio della sovranità popolare o il democrazia diretta. La loro funzione, infatti, non risede principalmente nel loro uso compulsivo. I detrattori, non a caso,
parlano di costi eccessivi della democrazia diretta. Bensì nel loro effetto deterrente. Per usare le parole dell’Althusius: «Chi li amministra è
naturalmente un altissimo magistrato…», ovvero il “rappresentante” politico. Costui, tuttavia, ha sempre dimostrato di avere in mente principalmente la sua rielezione. Se gli
strumenti della democrazia diretta: referendum, iniziativa e revoca, sono di facile e tempestiva attivazione, i politicanti ci penseranno due volte
prima di emanare leggi o delibere che potrebbero essere cassate dall’esercizio della sovranità popolare. Mirabile ed imitabile, sotto questo profilo, è l’architettura
istituzionale svizzera.
Tanto prima i sostenitori del m5s (e non solo essi) comprenderanno questi
semplici princìpi, tanto meglio sarà per l’intera nostra comunità.
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Posted: 12 Mar 2013 12:23 AM PDT |